Così come in ambito Web 2.0 esiste il prosumer, magica e perversa contaminazione tra produttore e consumatore di conoscenza, nella storia del cinema esiste lo spettattore, il sognattore, il chattattore, meravigliose creature nate dalla mente, magica e perversa, di alcuni geni.
The Purple Rose of Cairo è uno dei più bei film di Woody Allen.
A vederlo oggi, né i soloni del Web-2.0-sono-io né gli improvvisati criticinefili che senti parlare dietro di te nel buio della sala ne riuscirebbero a capire la bellezza, e non per colpa loro, ma quando è uscito era davvero unico.
La spettatrice che pensa che l’attore si rivolge a lei, l’attore che esce dallo schermo e la fa innamorare, la spettatrice che viene trascinata nel film dall’attore ora non ci fa più effetto… Neri Marcorè ha stupendamente fatto rivivere questa dinamica nel Conte Swarovsky dell’Ottavo Nano.
Ma il film era e resta un gioiellino di originalità.
La Woopi Goldberg di Jumping Jack Flash, è una operatrice della Sperry che comunica per via telematica con uno sconosciuto agente segreto americano in missione pericolosa in Russia.
Ci sono tutti gli ingredienti delle tecnologie del futuro… Ancora non esiste Internet e la comunicazione avviene con arcaiche interfacce a carattere, ma si tratta di una vera e propria “chattata” ante litteram. Il brano dei Rolling Stones che compare come oggi farebbe un MP3 e fa un po’ da colonna sonora un po’ da chiave di volta dell’intrigo, l’attesa dello sconosciuto al ristorante, immaginato bello come un Apollo, la scena finale… con lei che chatta al video e lui che le risponde a voce, standole dietro…
Tutto questo ora non fa più effetto (sempre agli stessi personaggi che – invece dell’intelligenza collettiva – incarnano la stupidità dell’individuo), ma quando uscì fu davvero un precursore di tutti gli amori virtualreali con cui le chat di Libero e Eva hanno sfasciato generazioni di matrimoni.
Ma la chicca più intrigante è un film del 1952. Per questa chicca la mia amica Merlocanterina mi pagherà non so quante colazioni e il mio amico Boris si convincerà definitivamente che non sono solo un fedele amico dell’uomo, ma anche un animale da… cerca.
E’ di un maestro del fantastico che diventa realtà, uno dei visionari più puri della storia del cinema, René Clair, con uno degli attori più belli di sempre, morto a 37 anni, il cui nome, Gérard Philipe, dice poco ai più, così come il titolo del film Le belle della notte, o in originale Le Belles-de-nuit. Il film, cui il Mereghetti dà due palle e quindi ne vale almeno quattro, racconta di un sogno interrotto dalla realtà. Cioè mi spiego… Philipe, nel film, vive più dentro ai suoi sogni che nella vita reale e, questa è la magia, il sogno di una notte, interrotto all’alba, riprende la notte successiva dallo stesso punto, anzi, via via che il film scorre, il musicista squattrinato cerca in pieno giorno un momento per dormire…perché ha lasciato la sua bella del sogno in pericolo la sera prima e deve riprendere da lì per salvarla, e chissà che è successo nel frattempo. Tutto questo attraversando impunemente epoche e situazioni diverse… Una trama raffinata e bellissima, per tutti i sognatori ad occhi aperti del mondo. Altro che gli avatar di Second Life, nei suoi sogni Philipe è sempre se stesso ed è la vita virtuale a farglisi incontro. Insomma, proprio un film transcanale, come dovrebbe essere la mente di ogni seguace del Web 2.0. Dovrebbe, appunto…
Del film non c’è traccia di video… peccato.
Finisce qui la prima puntata di una strampalata storia del cinema in 2.0D, ma presto aggiungerò altri film dello stesso tenore…. Dersu Uzala, M, il mostro di Dusseldorf, Rashomon e il suo emulo L’oltraggio, qualcosa di Mel Brooks, Eyes Wide Shut… e via condividendo…
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